www.lagelateriadellarte.it di Francesco R. Giornetta
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2. Caravaggio – Breve critica comparata ascoltando Berenson, Longhi e Sgarbi

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Parte Seconda
Verso la “grande maniera personale” e le grandi tele romane.

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Testi di riferimento:
Caravaggio – R. Longhi – Editori Riuniti
Cravaggio, delle sue incongruenze e della sua fama – B. Berenson – Abscondita
Il punto di vista del cavallo – V. Sgarbi – Bompiani
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La prima parte l’abbiamo conclusa con “Giuditta che taglia la testa ad Oloferne”, probabilmente il dipinto che chiude il periodo delle prime opere a Roma. Abbiamo detto opere che erano rivolte ad una committenza privata.

Nel 1599 arriva la prima committenza pubblica, ma come al solito andiamo con ordine….

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La storia dei fatti sacri gli appariva come un seguito di drammi brevi e risolutivi la cui punta non può indugiarsi sulla durata sentimentale della trasparenza, anzi inevitabilmente si investe del lampo abrupto della luce rivelante fra gli strappi inconoscibili dell’ombra “ (Longhi pag. 30)

Troppo forte Longhi, il termine “abrupto” l’ho dovuto cercare su Google (per mia ignoranza, of course), significa “improvviso” e quindi “lampo improvviso”.

Caravaggio aveva già messo l’essere umano fuori dallo specchio con le sue nature morte, adesso sposta la funzione dell’uomo fuori dalla visione umanistica che lo vedeva come eterno protagonista e signore del Creato. La luce (e quindi le ombre) non subisce la presenza dell’uomo, ma al contrario gli studi del Caravaggio si incentrano sull’incidentalità della sua manifestazione, che doveva apparire quanto più casuale possibile.

Caravaggio - Primo San Matteo e l'Angelo
Caravaggio – Primo San Matteo e l’Angelo

La cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi è stato il primo palcoscenico pubblico per Caravaggio. Aveva messo piede nella chiesa nei primi anni dell’ultimo decennio del secolo con la prima versione del San Matteo e l’Angelo.

Un dipinto, purtroppo andato perso nel 1945 a Berlino, subito criticatissimo al punto che fu ritirato per poi andare a far parte della collezione del marchese Giustiniani.

Non so se ricordate il San Matteo citato nella prima parte di questo scritto, quello del Figino nella chiesa di San Raffaele a Milano….

Ma perché fu criticato?

Perché Caravaggio, seguendo i modelli della sua adolescenza ha rappresentato un San Matteo del popolo, “…semplicione di pelle spessa, questo analfabeta che al solo pensiero di metter penna in carta ha fatto le rughe profonde…” (Longhi, pag. 25).
Caravaggio, dimentica che San Matteo era un pubblicano, un gabelliere, una persona istruita; e che dire dell’angelo che letteralmente guida la mano del Santo nello scrivere il testo?

Proprio l’angelo, per Berenson, potrebbe aver aggiunto imbarazzo a causa delle trasparenze nei panneggi.

Comunque, anni dopo, quando fu richiamato in San Luigi per i due dipinti laterali nella stessa cappella, il nostro artista sentì la necessità di porre rimedio.

San Matteo seconda versione
San Matteo seconda versione

Ed in effetti una nuova maturità traspare dalla seconda versione del San Matteo e l’Angelo. Qui siamo in quella che Longhi chiama la “grande maniera personale”, con una classicità “inclusiva al proprio modo naturale”. L’angelo non guida più la mano del Santo, ma gli detta il testo; adesso vola (che con Caravaggio è una novità) e costringe il Santo, che sale sullo sgabello con un ginocchio, ad un’acrobazia per ascoltarlo meglio.

Per Berenson invece, questo “vecchio maestoso mezzo appollaiato su uno sgabello, quasi fosse saltato dal letto per buttar giù un’idea…” (Berenson, pag. 53), è una delle incongruenze che caratterizzano la produzione del Caravaggio come illustratore.

San Matteo è diventato una persona istruita. Le polemiche si placano, diventano un leggera discussione.

Nonostante varie indagini documentali sugli altri due dipinti (Vocazione e Martirio) non si è giunti a nessuna soluzione sul perché della commissione al Caravaggio. Fatto sta che la realizzazione di queste opere (che giova ricordarlo sono delle tele e non degli affreschi) gli spalancheranno le porte sul mondo pittorico romano in un modo del tutto inconsueto, uso com’era a vedere come pale d’altare degli affreschi.

La cappella Contarelli (francese Cointrel) è la prima commissione pubblica, e come sua abitudine, Caravaggio agisce in modo del tutto originale. Chi si aspettava la luce chiara di Raffaello e Michelangelo rimarrà deluso e meravigliato.

Caravaggio - Vocazione San Matteo
La Vocazione di San Matteo – Chiesa San Luigi dei Francesi (Roma)

 “Egli voleva che la figura fosse cristallina come nel Mantegna e, nel medesimo tempo, che emergesse imprevedutamente da un confuso abisso di tenebre, invece di stagliarsi contro lo sfondo chiaro usato dai pittori quattrocenteschi e ancora da Michelangelo nel soffitto della Sistina” (Berenson, pag. 51)

Da un San Matteo rappresentato alla stregua di un “grosso analfabeta” della prima rappresentazione siamo passati alla citazione di un San Matteo pubblicano, gabelliere, istruito, citazione evidente anche nella nuova versione del San Matteo.

Probabilmente la scena (al solito con Caravaggio non riusciamo quasi mai a capire dove siamo) si svolge all’interno di questo ambiente dedicato non solo alla riscossione dei tributi, ma, forse, anche al gioco d’azzardo.

Holbein - Giocatori e la morte
Holbein – Giocatori e la morte

Il Sandrart, biografo tedesco, da un’indicazione in più sull’impianto del dipinto.

Egli rievoca i “Giocatori e la Morte” dello Holbein del 1526.

In ambedue le opere la parte rilevante del tema si svolge al tavolo dei giocatori.

Il Cristo del Caravaggio, come ricorda Longhi, sembrava “un che di citazione iconografica suppletiva” che si concretizza in quella folata di luce che viene dalle sue spalle e lo anticipa nel suo gesto verso gli altri personaggi.

Gli esami radiologici hanno appurato che quella luce è stata oggetto di varie correzioni da parte dell’autore, a dimostrazione che il gioco degli scuri, sempre più importante per il Caravaggio, era diventato il punto centrale e drammatico del racconto. “Non tanto il rilievo dei corpi, quanto la forma delle tenebre che li interrompono.” (Longhi, pag. 30)

E’ bella la riflessione di Longhi quando nel sottolineare la crescente drammaticità donata alla composizione dall’accentuare, “ringagliardire” e rinforzare le ombre, specchio dell’anima dell’artista che sta mutando, cita i versi neoelisabettiani di un grande della letteratura inglese, Eliot: “And we shall play a game of chess – pressing lidless eyes and waiting for a knock upon the door”.

Sembra evidente che l’idea dell’impianto della composizione abbia forti legami con le precedenti tele di soggetto feriale, penso ai “Bari”, ma la spensieratezza delle scene dell’adolescenza, con i suoi colori vivaci, sta lasciando la scena ad un nuovo modo di dipingere.

Ma come promesso all’inizio di quest’articolo, e cercando di essere imparziale, è il caso che vi riporti anche le impressioni di Berenson a proposito di queste opere.

Il suo non è sicuramente un feeling alla Longhi, non a caso nella sua analisi riporta un passo dello Zuccaro (o Zuccheri oppure Zuccari), principe degli accademici di allora che, condotto a vedere le due tele esclamò “Che romore è questo? Io non ci vedo altro che il pensiero di Giorgione nella tavola del Santo.”[1]

Cristo-Vocazione-San-Matteo
“La Vocazione di San Matteo (Chiesa San Luigi dei Francesi – Roma) – Particolare del Cristo

Già a partire dalla descrizione dell’ambiente, la sua critica sembra essere negativa. Usa la similitudine “stambugio di una calle veneziana” per descrivere l’ambientazione.

La luce che proviene da una finestra (Longhi e Sgarbi la fanno provenire da una porta, io sono d’accordo con Berenson) lo fa rimanere perplesso, la paragona ad una scarica elettrica o, peggio ancora, come un abbaglio improvviso di un riflettore.

Si sofferma sulle gambe dei personaggi al tavolo “che si aprono scompostamente”; discute sulla lunghezza del braccio del Cristo e sull’incertezza a chi appartenga.

Lamenta il fatto che il tema comunque sacro della Vocazione di San Matteo, anche se si presta ad una rappresentazione di tipo familiare, con Caravaggio è diventata una “scena di genere” talmente nuda e cruda da sembrare un fatto di cronaca nera, con l’intervento del Cristo che sembra più un commissario di polizia che fa irruzione nel covo dei banditi.

cappella contarelli
Cappella Contarelli – San Luigi dei Francesi (Roma)

Vorrei tornare un attimo sulla provenienza della luce di questo dipinto.
Come accennato sopra Longhi e Sgarbi la fanno provenire da una porta,  ma quando ho visitato la cappella in questione a me è sembrato subito evidente che la provenienza fosse una finestra.

Guardate quest’immagine, a voi non sembra una continuazione della lunetta finestrata sull’altare?

Meno dura è invece la critica della tela posta di fronte nella cappella, “Il Martirio di San Matteo“. Berenson si limita a dire che è molto convenzionale, con “…gruppo giorgionesco a sinistra, i nudi accademici, la monumentale prigione prepiranesiana, lo scorcio ultracorreggesco dell’angelo”.

Caravaggio - Martirio di San Matteo
Martirio di San Matteo – Chiesa San Luigi Dei Francesi (Roma)

Ammette che si tratta comunque di un’opera senza rivali nell’Italia di fine XVI inizio XVII secolo, e che si può considerare come “…un anello di congiunzione fra Tintoretto e Gèricault”.

Per la verità anche Longhi e Sgarbi valutano il Martirio come un’opera con un messaggio pittorico molto più fievole rispetto alla Vocazione.

Longhi parla di “…nudoni retorici di manigoldi scamiciati…” e “…odiosi ricordi manieristici…”.

Per Sgarbi la Vocazione porta Caravaggio nella storia dell’arte “…il dipinto scatenerà la curiosità del mondo dei pittori e inizia a destare meraviglie in tutta Europa” (Sgarbi, pag. 78), e lo fa in un modo talmente nuovo ed originale che farà fatica a misurarsi anche con se stesso (leggi il Martirio di San Matteo).

Da questo momento Caravaggio, a parte la nuova versione del Suonatore di liuto e la citazione mitologica del Narciso (che potrebbe benissimo intitolarsi semplicemente Ragazzo che si guarda nello stagno), che riportano a temi della sua prima età, dedica la sua attenzione al sacro.

Alla Cappella Contarelli, oltre ai due dipinti accennati, segue la Madonna col Bambino[2], che Longhi con una riflessione suggestiva e un po’ maliziosa, lega, come seguito narrativo, alla Maddalena Penitente.

Caravaggio - Madonna con Bambino
Madonna con Bambino – Galleria Nazionale di Arte Antica (Roma)

Maddalena penitente
Maddalena penitente – Galleria Doria Pamphili (Roma)

La costante dei modelli popolari è presente anche in questa Madonna, dove a parte l’aureola, la donna sembra la stessa, vestita allo stesso modo con quel corsetto a bretelle uguale a quello della Maddalena.

Dopo una serie di quadri, che come al solito, attirarono su di lui le critiche dei suoi detrattori a proposito di composizione e sintassi negativamente condizionate da quella luce e principalmente da quelle ombre, si arriva alla fine di quegli anni che Longhi chiama di “San Luigi”. Caravaggio ritorna su un tema che ritiene forse autobiografico, e cioè il San Giovanni Battista.

San Giovanni Battista - Kansas City
San Giovanni Battista – Nelson-Atkins Museum of Art (Kansas City)

Scorbutico, ostinato e principalmente “naturista” al quale basta una cannuccia a croce, una scodella ed un caprone per essere rappresentato.
In quello della Galleria Nazionale di Roma, il “ragazzo di strada” è cresciuto emerge luminoso in un vorticare di ombre; nell’esemplare di Kansas City la posa è quella della “maniera grande” del San Matteo dell’altare di San Luigi dei Francesi, il paesaggio si limita a poche foglie ed arbusti di un colore brunito, una rappresentazione ormai incamminata sulla classicità.

Le ombre scavano il torso e dissolvono l’interno della gamba destra, della sinistra si intravvede solo il ginocchio, il drappo rosso è sontuoso. L’espressione è seria e pensierosa, i capelli, bruniti come il paesaggio, quasi si confondono nello scorcio di bosco retrostante.

Fregio Ara di Pergamo
Fregio Ara di Pergamo

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Sono passati poco più di cinque anni, ma come è lontano il Bacchino malato. Forse mi lascio suggestionare, ma questo frammento di fregio narrante le gesta di Telefo sull’Ara di Pergamo non mi sembra lontano, e mi conforta leggere Berenson che richiama Lisippo nel descrivere la testa, il torso ed il braccio del David della Galleria Borghese, successivo, nel filone di trasformazione di questi giovani ragazzi romani da Giovanni Battista ad eroi biblici.

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David Galleria Borghese
David Galleria Borghese

Ma quale testa e torso e braccio – degni di Lisippo.” (Berenson pag. 34) e, forse in vena di complimenti, gli attribuisce anche un sentimento, “Forse il David della Borghese tradisce una certa amarezza, mentre regge la testa che si dice essere l’autoritratto del pittore” (Berenson, pag. 71)

Poco prima dei 29 anni (24 settembre 1600), a dimostrazione della fama ormai raggiunta, Caravaggio, riceve la commissione per due importanti opere per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo.

Egli è appellato come “egregius in urbe pictor”, descrizione ancora più importante se si pensa che l’altro dipinto della Cappella, quello sull’altare fu commissionato ad Annibale Carracci.
Praticamente i due più importanti pittori della Roma a cavallo tra il 1500 ed il 1600.

Due dipinti che a causa della loro buia collocazione rimasero per lungo tempo semisconosciuti alla cultura europea.

Bella ed intrigante la descrizione che Sgarbi dà della Conversione di San Paolo, riprendendo e sviluppando l’analisi di Longhi (pag. 56).

Caravaggio - Seconda Conversione San Paolo
Seconda Conversione San Paolo – Chiesa Santa Maria del Popolo (Roma)

La chiesa diventa una stalla, l’uomo sullo stesso livello rappresentativo nella Canestra di frutta, qui diventa meno importante del cavallo.

Il dipinto è la storia di un doppio ribaltamento, sia fisico che psicologico, concetti chiarissimi ed espliciti.

Ribaltamento fisico perché Paolo è caduto, psicologico perché Paolo perde la sua posizione di potere.

Conversione Moretto Brescia
Conversione San Paolo – Moretto (Brescia)

E la genialità di Caravaggio sta nel riproporre, a suo modo quello che aveva visto nella sua adolescenza a Santa Maria presso San Celso a Milano, in un’altra conversione, quella del Moretto.

Vale a dire il punto di vista del cavallo (che è poi il titolo del libro di Sgarbi).

Nella Vocazione la luce proviene da una fonte luminosa la cui sorgente è quasi sicuramente un’apertura sull’esterno (finestra o porta non importa), nella Conversione, invece, si ha difficoltà a capire se si tratti di luce del sole o divina.

La forza della composizione è concentrata tutta nel gesto trattenuto del cavallo che evita di calpestare il Santo, la cui santità inizia proprio nel momento della sua caduta da cavallo.

 La storia dei dipinti nella Cappella Cerasi necessità di una spiegazione “temporale”.

La commissione da parte di Tiberio Cerasi, tesoriere generale della Camera apostolica, riguardava la29-caravaggio_conversione-san-paolo-odescalchirappresentazione del Martirio di San Pietro e della Conversione di San Paolo da effettuare su tavola di cipresso e risale al 1600. Nel 1601 il committente muore.

Dal 1605, la cappella ospita due nuovi dipinti, questa volta su tela.
Della prima versione del Martirio di San Pietro si sono perse le tracce; la prima Conversione di San Paolo, invece, da quando non più nella cappella Cerasi, fa parte di collezioni private.

Ma perchè questa sostituzione?

Nonostante le dichiarazioni screditanti di Giovanni Baglione (nemico del Caravaggio), secondo le quali le tavole fuorono rifiutate dai committenti, “Questi quadri prima furono lavorati da lui in altra maniera, ma perchè non piacquero al Padrone, se li prese il cardinale Sannesio, e lo stesso Caravaggio vi fece questi, che hora si vedono” (Baglione), sembrerebbe che lo stesso Caravaggio, una volta che il Maderno ebbe finito di costruire la cappella, in accordo con i committenti, abbia deciso a causa dell’angusto spazio, di sostituire i dipinti con gli attuali.

Il motivo stava tutto nell’impianto della composizione che era stata progettata per una visione d’insieme da una posizione distante. Ora, a causa del poco spazio, l’impianto doveva essere fruibile da una posizione ravvicinata.

Alla luce di questo, quindi, probabilmente ha ragione Longhi quando categoricamente esclude, per evidenti differenze di stile, che la prima versione sia quasi contemporanea della seconda, ma la sua collocazione ad almeno 10 anni prima forse è un po’ eccessiva.

Di fronte alla Conversione si trova la Crocifissione di San Pietro.

Martirio di San Pietro
Martirio di San Pietro

I “…nudoni retorici di manigoldi scamiciati…” lasciano il posto a degli operai ripresi nello svolgimento dei loro compiti. Non più carnefici, ma serventi. Personaggi calati completamente nel popolo plebeo della sua epoca, coi loro baveri sgualciti e le braghe povere e consumate.

E davanti a tutti, quei piedi in primissimo piano che tanto hanno fatto discutere per la loro naturalezza, piedi reali, sporchi. Tutti ripresi nella tensione dei muscoli in questo lavoro che sembra quasi routine, “Sembra quasi di sentire i loro versi gutturali da bestie da soma” (Sgarbi pag. 95).

Qui l’unico ribaltamento è quello fisico, quello del Santo non per volontà dell’artista, ma proprio perché la storia lo impone, è raffigurato a testa in giù, “…ci guarda calmo, cosciente come un moderno eroe laico…” (Longhi pag. 56)

Ed è vero quello che dice Longhi, visto questo quadro si ha l’impressione che la storia sia andata esattamente così.

Ma, …ma dopo queste bellissime suggestioni di Longhi, rafforzate da Sgarbi, non si può tacere l’altra faccia della critica.

Per Berenson le tele sono piene di incongruenze.

La Conversione è una sciarada dove le sue parti sono costituite da un vecchio cavallo che solleva le zampe anteriori e un ufficiale disteso per terra “che apre le braccia in deliquio” (Berenson pag. 26)

L’evidenza data al cavallo rispetto al Santo, quello che per Longhi è forse il punto di vista più rivoluzionario dell’arte sacra, per Berenson è quanto di più incongruo ci possa essere. Una scena popolana e non sacra, dove manca completamente l’evento miracoloso, “la rappresentazione dell’acquetarsi di un cavallo impennato” (Berenson, pag. 53)

Per quanto riguarda la Crocifissione, invece, “…la fatica dei serventi…” di Longhi, diventa per Berenson una disumanizzazione del tema. Egli lamenta il fatto che gli operai sono dei semplici meccanismi all’interno della composizione, “…vediamo dell’uno il sedere e dell’altro la schiena; di nessuno dei due vediamo il viso.” (Berenson pag. 27), “uno studio di natiche, in un disegno a diagonali incrociate” (Berenson, pag. 53).

Giusto per inciso nella sua introduzione Berenson mette subito in guardia il lettore “Intorno ad essi (i quadri del Caravaggio), mi lascerò andare a dire qualunque cosa mi passi per la testa, una testa che ha meditato per lunghi anni sull’arte, dal punto di vista estetico, storico, morale. E infine mi prenderò la libertà di esprimere quanti pensieri l’esame dell’opera caravaggesca mi ha suggerito

A voi la scelta del punto di vista più corretto.

Caravaggio - Sepoltura del Cristo
Deposizione (o Sepoltura) del Cristo – Pinacoteca Vaticana (Città del Vaticano)

I tempi della natura morta sono ormai lontani, il lavoro dell’artista prosegue sul filone della rappresentazione della figura umana e questo, in quanto inteso come segno di classicità, riscuote anche i favori della critica

Nel 1601 riceve una nuova commissione, messa in opera nel 1604. Si tratta della “Sepoltura del Cristo” per l’altare Vittrici alla Chiesa di Santa Maria in Vallicella (comunemente chiamata Chiesa Nuova).

I personaggi della Sepoltura sembrano sorpresi da un lampo di luce, quasi rimasti senza parole, paralizzati nella loro azione, ma sono sicuramente personaggi popolari.

Il Nicodemo che prende le gambe del Cristo da sotto le ginocchia, è un personaggio della Roma popolare che si poteva incontrare per le vie nell’epoca caravaggesca.

In questo dipinto Caravaggio si spinge ad una rappresentazione del dolore dal mio punto di vista veritiero nella Madonna e nella Maddalena, ma teatrale, troppo impostato nella Maria di Cleofa dietro tutti i personaggi.

Desposizione al Santo
Desposizione – retro dell’altare del Santo (Padova)

Purtroppo io ho sempre nella mente la deposizione di Donatello sul retro dell’altare del Santo a Padova, dove le donne piangenti trasmettono un dolore puro, senza identità e senza tempo difficilmente ripetibile.

Su questo in qualche modo sono d’accordo con Berenson, che trova anche lui il gesto della discepola non di suo gusto.

Sepoltura Rubens
Sepoltura di Rubens

Lirico, invece, è a suo dire il gioco del chiaroscuro su Giovanni e sulla Maddalena, mentre la scena è rovinata dalla sproporzionata testa del Nicodemo al centro della composizione.

Questo dipinto ha fatto scuola, specialmente se si pensa alla Deposizione di Rubens, ora a Vaduz nella galleria dei principi di Liechtenstein, quasi integralmente copiata nell’impianto dal Caravaggio.

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E’ del 1604, presumibilmente, la “Madonna dei Pellegrini”. Mancano 2 anni alla sua fuga da Roma.

Madonna Pellegrini
Madonna Pellegrini (o di Loreto) – Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio (Roma)

L’opera è collocata in mezzo alle due “Cena in Emmaus”, ed è una commissione dei signori Cavalletti, bolognesi, per la Chiesa di Sant’Agostino.

La Madonna in questione è quella di Loreto. E’ attestata una permanenza di Caravaggio per alcuni giorni nella cittadina marchigiana un anno prima.

Adesso, provate ad immaginare di essere nella Roma di inizio ‘600.

Diciamo anche che apparteniate alla parte colta della società, e magari siete anche degli artisti.

Che sentimento provate nel vedere un tema, dove l’iconografia ufficiale era rappresentata da angeli che trasportano la casa della Vergine fino alla cittadina marchigiana, stravolto completamente, dove gli angeli non ci sono, le uniche strutture della casa sono lo stipite al quale è appoggiata la Madonna, un muro con dell’intonaco caduto ed il gradone, ai piedi del quale si inginocchiano due pellegrini in abiti lisi e in primo piano i piedi nudi, callosi e sporchi (tema ricorrente quello dei piedi in Caravaggio!)?

Va da se che l’altra parte della società, quella povera, popolana, che con quest’opera sale letteralmente “sugli altari”, non può che esaltarsi e tessere le lodi dell’artista, e lo fa “facendone estremo schiamazzo”.

Irene Cefisodoto
Irene Cefisodoto

Ma si sa, a Caravaggio gli piace “d’épater le bourgeois”.

Per quanto riguarda l’aspetto estetico, la critica  è concorde.

E Sgarbi in questo mi aiuta nel descrivere le loro impressioni:

<<la Madonna di Loreto……per Berenson era “la figura del Caravaggio più avvenente, e insieme più regale, che sia giunta fino a noi” e Longhi la paragona all’Irene di Cefisodoto>>

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Ecce Homo – Musei di Strada Nuova (Genova)

E continuerà, a sorprendere il borghese, e a ricevere critiche denigratorie anche per le opere successive. Subirà lo smacco di un scarto nella gara con il Cigoli ed il Passignano per la committenza per un “Ecce Homo” da parte di monsignor de’ Massimi.

Questa sua originalità, lo porterà anche a fallire l’opera per la commissione più importante che un artista della Roma di inizio ‘600 potesse aspettarsi: la pala per un altare a San Pietro.

Sto parlando della “Madonna del serpe” per l’altare dei Palafrenieri, rifiutata perché non celebrativa, non aulica, ma come al solito “plebea”.

Vi confesso che io, se continuassi a trovare in questa lettura sempre gli stessi aggettivi di “plebeo” e “popolano” ad ogni dipinto che viene presentato, un po’ mi stuferei.

Questa volta voglio lasciare a voi ogni commento, e lo voglio fare mettendovi il confronto con l’altro artista con il quale divideva le scene e le committenze del periodo.

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Madonna del Serpente (o dei Palafrenieri) – Galleria Borghese (Roma)

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Annibale Carracci – “Pietà con San Francesco e Maria Maddalena” per la Cappella Mattei in San Francesco a Ripa – Roma (1602 – 1607), oggi al Louvre.

Trovate le differenze!

Un aiuto? Paesaggio, abbigliamento, luce, …

In chiusura di questa parte dell’articolo, l’ultimo dipinto: “Morte della Vergine”.

Caravaggio_-_La_Morte_della_Vergine
Morte della Vergine – Museo del Louvre (Parigi)

Rappresentazione plebea e popolana…, no scherzi a parte , questa volta il dipinto fu proprio levato dall’altare!

Non so se qualcuno di voi ricorda il dettaglio del Carracci che vi avevo proposto nella prima parte, quando parlavo delle origini di Caravaggio.

Annibale Carracci - Dettaglio Madonna Svenuta - Parma

Quella Madonna svenuta di Parma, la ritroviamo uguale in quest’opera.

Secondo la critica, la colpa di Caravaggio fu di aver usato una prostituta annegata nel Tevere, ancora gonfia d’acqua, in una stanza scarna e poco consona alla persona della Madonna, unico collegamento con il Cristo morto e poi risorto.

E sempre quei piedi nudi in primo piano, piedi della Vergine e degli apostoli.

Fu accusato di aver rappresentato la morte non della Vergine, ma di una “popolana del rione” (Longhi pag, 63).

Però…, sotto quel drappo rosso disordinato si respira davvero il dolore; la donna chinata sulle ginocchia, anche se con il volto nascosto, sembra piangere lacrime calde; San Giovanni sta ricordando i momenti vissuti insieme, gli apostoli sono addolorati sul serio.

Mi sono accorto, rileggendo Berenson che non faccio più riferimento nelle descrizioni dei dipinti alla luce che Caravaggio dona ai suoi quadri, allora eccovi la sua di descrizione:

Essa rimbalza su crani pelati, sul viso della Vergine, sul dorso e le braccia della donna piangente, non senza effetti drammatici” (Berenson, pag. 37).
Stimava questo quadro, apprezzava “la solenne maestosità delle figure, ma anche la sapienza degli aggruppamenti” (Berenson, pag. 55), gli piaceva “come la Vergine sembra dormire, col braccio destro abbandonato nel sonno, indifferente alla compagnia raccoltasi intorno a lei” (Berenson, pag. 37).

Se ne avete la possibilità scorrete questo quadro con un sottofondo musicale adeguato (Ludovico Einaudi in Corale o Walk ad esempio), diventa a dir poco commovente.

La bellezza del dipinto non sfuggì a Rubens, che mettendolo in salvo per il duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga, nel 1607 ne allestì addirittura una pubblica esposizione “per soddisfar all’università delli pittori”.

Prima di passare alla terza ed ultima parte di questa breve storia, credo che sia utile incominciare a preparare il lettore su quello che succederà a seguito dell’evento cardine di questa svolta, vale a dire l’assassinio da parte di Caravaggio di Ranuccio Tommasoni, con una riflessione su quello che sarà il cambiamento d’animo dell’artista.

Un buon argomento per anticipare questa mutazione è la doppia realizzazione della “Cena in Emmaus”.

Prima cena in Emmaus
Prima Cena in Emmaus – National Gallery (Londra)

La prima (1601)

E’ quella tra le due che meno mi piace. Il volto del Cristo mi sembra fuori luogo, direi fuori personaggio, “incongruo” (Berenson pag. 28). Troppo leggero il pathos che si respira.

L’espressione dell’oste sembra quasi irriverente, il suo unico pensiero è accertarsi che i commensali abbiano il denaro per pagare; gli atteggiamenti di meraviglia dei due apostoli sono troppo teatrali, come il dolore di Maria di Cleofa nella “Sepoltura” vaticana.
Intendiamoci, questo non oscura, la grandissima capacità descrittiva della natura morta e degli altri elementi che imbandiscono il tavolo, o della tovaglia ripresa nei minimi particolari. Che dire poi del particolare della manica strappata del commensale di spalle, o dell’acqua nella brocca!

La seconda (1606)

Il fattaccio è successo, e lo stato d’animo è cambiato. L’opera è realizzata già fuori Roma (Palestrina o Zagarolo)

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Seconda cena in Emmaus – Pinacoteca di Brera (Milano)

I colori sono più cupi, la meraviglia dei discepoli più contenuta, l’oste osserva con interesse, la cameriera (personaggio nuovo) attende rispettosa, la tavola è più povera sotto questa cappa di malinconia, la tavolozza dei colori sembra conoscere un unico tono.

Lo stato d’animo dell’artista condiziona i personaggi …misurati, riflessivi, più reali e non teatrali, che vengono analizzati quasi alla ricerca di un sentimento interiore, a differenza della precedente versione dove balza subito agli occhi la sorpresa, lo stupore, la vitalità e vivacità dei colori. Tranne per l’oste e per la cameriera, anche gli abiti dei due commensali sono cambiati, non parlano più una lingua contemporanea all’artista, ma sono quelli della tradizione.
Sono stato a Milano il 27 dicembre scorso, nevicava, e quel gesto di benedizione, positivo in se, contrastante con l’espressione triste del volto, scatena una commozione senza aggettivi, se non “pura”.

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Bene, qui finisce la seconda parte di questo scritto.
Spero che anche questa abbia incontrato il vostro gradimento.

Vi ricordo che www.lagelateriadellarte.it sarà sempre lieta di ospitare un vostro articolo su qualsiasi gusto dell’arte voi desideriate.

Arrivederci alla terza ed ultima parte.

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Note
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[1] Probabilmente queste parole si riferiscono solo alla tela della Vocazione, avallando la tesi che le due opere siano state messe in opera in tempi diversi. Per quanto riguarda il merito di quest’affermazione, il probabile riferimento è, come spiega Lionello Venturi, il Miracolo del neonato che parla nella scuola del Santo a Padova, in quel periodo erroneamente attribuito al Giorgione, ma poi attribuito a Tiziano. Venturi giudica la composizione assai simile alla Vocazione di San Matteo per la disposizione delle immagini con flessione al centro, ma anche per l’uso delle ombre (a sinistra) e della luce (a destra).
[2] Ho inserito questo quadro tra quelli di Caravaggio, ma sinceramente non sono certo della sua attribuzione. Attualmente si trova presso la Galleria Nazionale di Arte Antica – Roma, e sul loro sito il dipinto è attribuito a Orazio Gentileschi con questa descrizione: “È stato Roberto Longhi il primo ad avanzare il nome di Orazio Gentileschi quale autore dell’opera, nota anche come Madonna dello svezzamento. Io sto seguendo il libro di Longhi su Caravaggio dove la Madonna viene attribuita a Caravaggio.
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Francesco R. Giornetta laureato in Storia e Tutela dei Beni Artistici e Musicali presso l'Università di Padova.

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