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La critica d’arte da Diderot a Baudelaire

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La critica d’arte, come genere letterario implicante un giudizio diretto e scritto sull’opera, risale al Seicento, quando la produzione artistica, affrancata da mecenatismi e committenze, acquisisce un nuovo padrone: il mercato. Produrre per il mercato significa essere soggetti al giudizio degli acquirenti, e il compito della critica sarà proprio quello di aiutarli elaborando giudizi valutativi. In questo modo essa influenzerà il gusto del mercato.

Nel Seicento Bellori tenderà a esaltare il predominio del classicismo dei Carracci o la pittura del suo amico Poussin, il Marchese Giustiniani difenderà il naturalismo di Caravaggio, Boschini proporrà i suoi conterranei veneziani del Cinquecento.

In Francia a partire dalla seconda metà del Seicento avviene qualcosa di nuovo. Luigi XIV, consigliato da Colbert, su richiesta della costituenda Académie Royale de Peinture et de Sculpture, già nel 1673 autorizza una mostra d’arte che, successivamente, a partire dal 1833 avverrà con cadenza annuale1.

Nasce in questo modo il Salon, in cui la libertà di partecipazione non sempre fu garantita a tutti gli artisti. Dopo un periodo iniziale in cui vennero ammessi pittori come Gèricault e Delacroix, che non erano membri dell’Accademia (partecipazione sollecitata anche da Jacques-Louis David), ci fu un momento in cui l’accesso fu interdetto «a chi non sembrasse campione di sani intendimenti: in senso, naturalmente, accademico»2.

I resoconti dei primi Salon, quelli settecenteschi, non erano altro che dei semplici elenchi di opere ed artisti, «non concependosi ancora una critica che non fosse inclusa nei trattati d’arte e nelle biografie degli artisti3

Solo dalla seconda metà del Settecento, quando anche scrittori ed intellettuali incominciarono a cimentarsi nell’arte della critica, si iniziarono a leggere resoconti più decisi, con giudizi e riserve sulle opere in mostra, resoconti che incontravano sempre più l’interesse del pubblico e che un po’ alla volta si estesero anche alla spiegazione dei fondamenti dell’arte. Siamo ancora in una fase in cui questo genere letterario è essenzialmente asservito alla tradizione accademica, ancora dal gusto classicista che guarda all’antichità e giudica «le opere moderne secondo i principi delle opere antiche.»4

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Denis Diderot

A partire dal Salon del 1759 la critica d’arte trova in Denis Diderot, l’autore dell’Encyclopedie, «il suo modesto iniziatore moderno»5. Egli non aveva una formazione artistica, le sue competenze erano in questo senso limitate, era un filosofo, illuminista.

Alla ricerca della verità e dell’alto contenuto morale6, fedele ai principi che avevano ispirato la redazione della sua opera più importante, in un periodo in cui la pittura e l’arte tutta tendono esteticamente, all’armonia, all’equilibrio, alla compostezza e alla serenità, egli condanna gli eccessi del barocco e del rococò, e questo lo si evince chiaramente nella critica rivolta a François Boucher nella quale condanna la frivolezza, la falsità e la chiassosità della sua pittura:

 

«Troppe smorfie, piccole smorfie di maniera, troppa affettazione per un artista severo!»7

«Tutte le sue composizioni fanno a chi guarda un chiasso insopportabile.»8

«E’ un falso buon pittore, come ci sono dei falsi uomini di spirito»9

La capacità di riproduzione della natura e il colore, invece, sono le cose che apprezza di più nel suo amico Chardin, e in questo caso la sua critica acquisisce nuovi elementi di giudizio, come osservazioni sui valori della luce, gli effetti dell’atmosfera, il tocco e lo stile.

«Eccovi di nuovo, dunque, gran mago, con le vostre composizioni mute! Ma come esse parlano eloquenti all’artista. Quanto esse vi dicono sull’imitazione della natura, la scienza del colore, l’armonia! Come l’aria circola attorno alle cose! La luce del sole non fa risaltare meglio la diversità di ciò che illumina. È quello là che non sa niente di colori amici, di colori nemici!»10

Una pittura che quindi deve rimanere quanto più vicina all’ispirazione del poeta e della natura, senza tuttavia rifiutare accorgimenti tecnici, ed esprimere un sentimento, un contrasto drammatico11, un concetto. Non manca in Diderot quella caratterizzazione della cultura e dell’arte che è propria del suo tempo, ovvero la tendenza al recupero dell’antico, che passa però, attraverso una ricerca di perfezione non solo estetica, ma anche etica e civile. È il momento di Jaques-Louis David e delle teorie di Mengs e Winckelmann. Il tempo della nobile semplicità e della quieta grandezza.

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Immanuel Kant

Nell’Ottocento, ma avvisaglie vi erano state già nel secolo precedente, una nuova visione del mondo stava facendosi largo. Se il Neoclassicismo era alla ricerca dei valori universali del bello ideale, il Romanticismo inizia ad approcciare l’aspetto irrazionale. Nasce in Germania e poi dilaga in tutta Europa con connotazioni e caratteristiche diverse da paese a paese.

Categorie estetiche già note si strutturano. Il Pittoresco, ovvero il rifiuto delle precisioni geometriche, il piacere delle irregolarità e del disordine spontaneo della natura, del paesaggio; il Sublime, la bellezza che spaventa e attrae contemporaneamente, una bellezza vissuta a livello individuale. Nella Critica del Giudizio, Kant precisa che esistono due tipi di Sublime. Il primo, quello matematico, riguarda «ciò che è assolutamente grande, ciò che è grande al di là di ogni comparazione», il secondo, quello dinamico, «invece è un piacere che ha solo un’origine indiretta, giacché esso sorge dal sentimento di un momentaneo arresto delle energie vitali, seguito da una più intensa loro esaltazione»12.

Quello del rapporto Uomo – Natura è uno dei temi più particolari. La Natura illuminista era governata dall’uomo che era al centro di tutto; nel Romanticismo questo rapporto viene rimesso in discussione e l’uomo si rende conto di essere assolutamente niente nei confronti della Natura. Anche i riferimenti storici cambiano. La continuità storica non viene più ricercata nell’antico, ma nel Medioevo per il suo misticismo, la sua religiosità e per la specificità delle culture dei singoli popoli che in questo periodo riescono ad affrancarsi dalle catene che li legavano alle tradizioni di altre culture che ne impedivano il loro sviluppo autonomo (vedi quella greca e quella latina).

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Charles Baudelaire

In questo clima, il testimone della critica d’arte passa da Denis Diderot a Charles Baudelaire. Egli si dichiara romantico convinto e per lui l’arte moderna è romantica:

«Chi dice romanticismo dice arte moderna, – cioè intimità, spiritualità, colore, aspirazione verso l’infinito, espressi con tutti i mezzi di cui le arti dispongono.»13

La sua idea di romanticismo, inoltre, sembra possedere un retaggio di tipo deterministico nella contrapposizione tra la predestinazione colorista del Nord («Il romanticismo è figlio del Nord, e il Nord è colorista; i sogni e gli incantesimi sono creature delle brume.»14) e quella naturalista del Mezzogiorno («Il Mezzogiorno è naturalista, perché quivi la natura è così bella e luminosa che l’uomo, non avendo nulla  da desiderare, non trova niente di più bello da inventare all’infuori di quello che vede»14).

Come ho già avuto occasione di scrivere in un mio precedente articolo sull’Ottocento, Baudelaire, il grande poeta bohémien, provocatorio e maledetto, l’autore de Les Fleurs du Mal, ci porta alla considerazione che l’arte nell’Ottocento passa da un portato imitativo ad un portato espressivo. Per spiegare il concetto del poeta si può immaginare un segmento con ad un’estremità l’idea e all’altra la realtà.

Egli individua un punto intermedio dove colloca l’immaginazione, ovvero la capacità da parte dell’artista di rielaborare la realtà attraverso una visione interiore che appartiene solo ed esclusivamente a lui.

All’estremità dove alloggia l’idea pone il grande pittore francese Jean-Auguste-Dominique Ingres. Secondo lui non va bene perché troppo accademico, troppo pieno di stilismi; le sue donne sono idealizzate e, d’altra parte Ingres, l’autore delle Odalische, di donne orientali non ne vedrà mai una, visto che non ha mai lasciato l’Europa. Il suo è un esotismo immaginato.

Sull’altro capo, quello della realtà, colloca Gustave Courbet, colui che incarna la teoria del Realismo, che non abbellisce la realtà perché essa deve essere uno strumento di lotta sociale. Ingres schiavo dello stilismo e dell’accademismo, Courbet schiavo della natura. Per Baudelaire l’imitazione non basta, la cosa più importante è l’espressione, ovvero l’incontro di realtà differenti: l’idea dell’artista e la realtà che lo circonda.

«La differenza è che mentre Ingres compie il suo sacrificio eroico in onore della tradizione e dell’idea del bello raffaellesco, Courbet lo vuole a gloria della natura esterna, positiva, immediata. Nella loro guerra contro l’immaginazione, essi obbediscono a moventi diversi; e due fantasmi opposti li conducono allo stesso olocausto»15

L’immaginazione artistica è la via creativa per sottolineare una nuova interpretazione delle cose, una trasfigurazione della realtà che tende a renderne la sensibilità moderna, la pertinenza alla vita della città e degli individui moderni. Mancando questa capacità di tradurre manca l’arte, che è ritrovata invece nella capacità da parte dell’artista di mettere insieme il suo sentire interiore con la realtà che lo circonda.

Il punto intermedio di questo segmento egli lo assegna a Eugène Delacroix, artista immaginativo, che rompe i legami con la realtà e con lo stilismo tramite la rielaborazione della natura attraverso l’immaginazione.

  1. Mary Pittaluga, La critica dei Salons, Ed. L’Arco, Firenze 1948, p. 7 []
  2. Ivi, p. 8 []
  3. Ivi, p. 10 []
  4. Ivi, p. 9 []
  5. Enrico Somarè, Charles Baudelaire critico d’Arte, in L’Esame, marzo-aprile-maggio, Rizzoli, Milano 1923, pag. III []
  6. https://library.weschool.com/lezione/diderot-e-i-salon-19696.html []
  7. Mary Pittaluga, La critica dei Salons, Ed. L’Arco, Firenze 1948, p. 38 []
  8. Ibidem []
  9. Ivi, p.39 []
  10. Ivi, p.40 []
  11. http://www.treccani.it/enciclopedia/denis-diderot/ []
  12. I. Kant, Critica del giudizio, 1975:56 []
  13. Charles Baudelaire, Scritti sull’arte, Einaudi, Torino 1992, p. 59 []
  14. Ibidem [] []
  15. Charles Baudelaire, Scritti sull’arte, Einaudi, Torino 1992, p. 192. []
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Francesco R. Giornetta laureato in Storia e Tutela dei Beni Artistici e Musicali presso l'Università di Padova.

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