Ha senso chiedersi se esiste una definizione di Arte?
L’esperto d’Arte.
Ed eccoci al penultimo articolo di questo progetto.
La terza ed ultima considerazione che la sentenza Brâncuși ha generato è quella relativa alla figura del competente, dell’esperto.
Gli Stati Uniti avevano una legislazione su beni artistici che datava 1917, non molto vecchia quindi, rispetto alla sentenza stessa che, ricordo, era del 1926.
Eppure, nonostante la freschezza mentale della legge, il giudice Waite non si è fatto scrupoli nel dichiarare opera d’arte qualcosa che la stessa legislatura non considerava opera d’arte.
È il caso di riproporre le parole della sentenza:
“Noi riteniamo che la giurisprudenza più antica non avrebbe inscritto l’oggetto in questione nella categoria delle opere d’arte (…) Nel frattempo, tuttavia si è sviluppata una corrente artistica cosiddetta moderna, i cui esponenti tentano di rappresentare delle idee astratte invece che imitare gli oggetti naturali […] L’oggetto ha linee armoniose e simmetriche e, a dispetto di una certa difficoltà ad assimilarlo a un uccello, è comunque piacevole da guardare e molto decorativo. Ritenendolo al di là dell’apparenza produzione originale di uno scultore professionista. Al di là della simpatia o antipatia per queste idee di avanguardia e per le correnti artistiche che le rappresentano, noi giudichiamo che la loro esistenza, così come la loro influenza sul mondo dell’arte, siano fatti degni di essere riconosciuti e presi in considerazione da parte dei tribunali accettiamo le proteste e troviamo che l’oggetto ha diritto a entrare liberamente.”
Incredibile quanto illuminato sia stato il giudice Waite. Lui dice che c’è una vecchia normativa (aveva solo nove anni), ma che nuove correnti artistiche si stanno sviluppando (“…cosiddetta moderna…”) e che quindi nonostante la legge non riconosca questo tipo di arte (una normativa ancora legata ad un vecchio concetto di mimesi; se ti intitoli “Uccello di fuoco” devi farmi vedere almeno una piuma!) la scultura in questione ha il diritto di avere la dignità di opera d’arte.
E’ evidente che la sentenza non è frutto di una sola persona, ma del lavoro sinergico di più figure.
Nell’articolo precedente vi avevo riportato la descrizione di Artworld di Danto, ossia “un contenitore riempito da idee, pensieri e teorie sull’arte”, ma il nostro critico non è stato l’unico a parlare di questo mondo.
George Dickie, filosofo americano, lo amplia e gli dà una connotazione più “sociale”, lo istituzionalizza. Non a caso, infatti la sua è definita Teoria Istituzionale dell’arte ed è basata principalmente su delle convenzioni sociali all’interno delle quali le opere prendono forma.
Per Dickie, oltre a idee, teorie e pensieri ci sono anche musei, cinema, gallerie d’arte, biblioteche, critici e storici dell’arte, e così via. In pratica tutto quello che serve a fare in modo che l’arte, qualsiasi essa sia, abbia la sua visibilità e possa essere studiata e discussa. Per lui sono proprio queste istituzioni a conferire lo status di opera d’arte alla realizzazione.
E secondo voi, a chi il giudice Waite avrà chiesto consiglio per redigere la sua sentenza? Sicuramente avrà chiesto collaborazione a questo mondo dell’arte “allargato”.
Evidentemente solo la consulenza dell’esperto, del competente, lo poteva rendere edotto circa una nuova corrente artistica “…i cui esponenti tentano di rappresentare delle idee astratte invece che imitare gli oggetti naturali”.
Ma chi è l’esperto? Come agisce?
Prima di rispondere, anche qui, un richiamo al pensiero di Wittgenstein è necessario. È straordinario come un filosofo che ha scritto pochissimo di arte, alla fine abbia generato così tanti spunti utili per il mondo dell’arte.
in un discorso su argomenti estetici, mi accade di usare le parole: “Devi vederlo così, è così che è inteso”; “Se lo vedi così, vedi dov’è l’errore”; “Devi sentire questa battuta come un’introduzione”; “Devi sentirla in questa chiave”; “Devi fraseggiarla in questo modo” [1]
Per Wittgenstein, ma credo che questo sia universalmente riconosciuto, l’esperto è colui che è in grado di farti vedere nell’opera d’arte qualcosa che prima non avevi visto.
Vi risparmio tutta la sua teoria sulla visione multi-aspettuale e sul vedere come e gli sviluppi successivi in vedere in e vedere tramite, ma vi porto un esempio che ogni volta che lo sottopongo riscuote grande interesse.
È un’esemplificazione di Stefan Majetshack, professore di filosofia alla Kunstochschule Kassel, riportata nella raccolta di saggi Wittgenstein, l’estetica e le arti – Carocci Editore, a cura di Elisa Caldarola, Davide Quattrocchi e Gabriele Tomasi dell’Università di Padova.
Il Sogno di Picasso, 1932
Da mia esperienza diretta, ogni volta che faccio vedere questo quadro, le sensazioni che vengono registrate sono il riferimento al tardo cubismo di Picasso e la descrizione di una donna che sta dormendo su una poltrona, con il capo reclinato. La sua è un’espressione serena, e sembra che stia sognando qualcosa di piacevole e tranquillo.
Che stia sognando è un’interpretazione che ci arriva dal titolo che l’autore gli ha dato (ricordate cosa ho scritto nell’articolo precedente relativamente all’idea di Danto sull’interpretazione?)
Quasi la totalità delle persone a cui ho sottoposto questo quadro, non ha riconosciuto altro.
Adesso poniamo il caso che a presentarcelo sia un esperto della pittura cubista, e di Picasso in particolare.
Egli indicando con la mano il volto della donna ci dirà, usando più o meno le parole di Wittgenstein, che Picasso nella sua realizzazione ha inserito un cambiamento d’aspetto.
Immaginiamo la frase:
“L’occhio sinistro della donna, il lato sinistro del volto della donna, devi vederlo così, come un pene, è l’organo genitale maschile! È così che è inteso.”
A questo punto, adesso che avete notato questo nuovo aspetto, che cosa vedete? Avete rielaborato le vostre informazioni?
Adesso avete una comprensione del quadro totale e non parziale come prima. Comprendiamo il quadro in maniera diversa e da questo momento inizia tutto un procedimento di riflessione sul significato della tela e, sicuramente, se ci chiedessero adesso cosa vediamo, daremmo tutt’altra descrizione di questa donna. Magari anche un po’ lasciva.
Con questo semplice esempio siamo arrivati a comprendere, molto sinteticamente, la figura dell’esperto d’arte, ossia una persona che è a conoscenza del substrato culturale, delle convenzioni, delle pratiche, delle tecniche che regolano il mondo dell’arte e che è capace di farci vedere aspetti dell’opera che prima non vedevamo.
Il competente è colui che non si limita a dire “Che bello, che splendido”, anzi non lo dice proprio. Il competente nelle sue indicazioni, nei suoi giudizi estetici evita per formazione professionale questo tipo di aggettivi, e se li usa, immediatamente fornirà le ragioni della sua reazione estetica.
Vi immaginate il giudice Waite che chiede informazioni all’esperto e riceve come risposta “E bello!”. La consulenza ricevuta denota conoscenza del mondo dell’arte, dei suoi sviluppi e delle sue tendenze.
Nella figura dell’esperto e nella sua capacità di giudizio troviamo tutte le cose di cui ho scritto negli articoli precedenti. Riusciamo a scorgere la capacità di andare oltre una definizione di Arte, troviamo la coscienza di un cambiamento dei paradigmi dell’arte nel tempo e troviamo la consapevolezza dell’esistenza di un mondo dell’arte di cui egli stesso è parte.
Il prossimo articolo sarà l’ultimo di questo progetto e ci porterà direttamente a scoprire se ha senso cercare una definizione dell’Arte. Cercherò di tirare tutti i fili della trama che ho tessuto. Mi avvarrò di un argomento, a mio parere molto interessante, della storica dell’Arte statunitense Linda Nochlin che ci aiuterà a comprendere come le pratiche sociali siano all’origine di ogni mutamento.
Alla prossima.
[1] Ludwig Wittgenstein, Ricerche Filosofiche II, xi, 534/267.
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