I milioni di morti in combattimento della Seconda Guerra Mondiale, sui campi di battaglia, nei campi di sterminio nazisti e soprattutto a causa dei bombardamenti delle città, si lasciano dietro un mondo sconvolto ed allibito.
In questo mondo, come già successo nel primo dopoguerra, anche l’artista ha perso i suoi punti di riferimento. C’è una crisi della coscienza intellettuale che investe anche il mondo dell’arte, e il polso della situazione la sintetizza in modo efficace il pensiero del filosofo tedesco Theodor Adorno:
Scrivere poesia dopo Auschwitz è una barbarie
Ed è questo il sentimento che pervade l’animo degli artisti nel secondo dopoguerra. E’ il momento dell’esistenzialismo di Sarte, della ricerca dell’identità. Che cos’è l’essere? Cosa vuol dire esistere? Domande alle quali non si sa rispondere e che straziano gli intellettuali.
Questo vuoto che gli artisti sentono viene espresso in modo diverso a seconda che la guerra sia stata lo scenario o meno del luogo dove l’artista opera.
Mentre l’America, lontana dagli scontri violenti, dalle sanguinose battaglie, vedrà la nascita di movimenti come l’Espressionismo Astratto, l’Action Painting e il Color Field, in Europa, dove le battaglie segnano il territorio, gli artisti sentono molto di più il disagio nei confronti della società. Una crisi identitaria che porterà alla nascita di un nuovo modo di fare arte che verrà identificato con il termine Informale.
Si sviluppa allora un’arte che il critico francese Michel Tapié, nel 1952 nel suo libro “ Un art autre”, definisce Informale, ovvero un’arte che contraddistingue un contenitore dove c’è un po’ di tutto con la caratteristica di essere in rottura con l’arte precedente.
Nel suo libro Tapié dice:
Se la forma lasciava all’artista tutte le possibilità della natura creatrice, l’Informale aveva però una nuova possibilità di trascendere dentro di essa, aprendo così un’infinità di nuove porte sugli indefiniti formali.
Siamo all’incirca nel decennio tra gli anni ’50 e gli anni ’60 del ‘900 e si pone in forte polemica con tutto ciò che può essere riconducibile ad una forma, sia essa figurativa o anche astratta. In sostanza nega ogni forma e la coscienza razionale che ne deriva.
E’ un’arte tesa a negare qualsiasi valore a ogni attività che presupponga il filtro della ragione.
Allo stesso modo del Dada del primo dopoguerra, non vedeva aspetti razionali in una guerra e tutte le passioni dovevano essere espresse nel modo più libero, spontaneo e violento possibile, fuori da qualsiasi schema precostituito.
L’evento artistico si esaurisce nel momento stesso della creazione, e grande importanza viene attribuita ai materiali che non sono più il mezzo usato dall’artista, ma il messaggio stesso. Ruvido sensazioni spiacevoli e morbido, al contrario, piacevoli.
Le due componenti di quest’arte quindi si concretizzano nel gesto e nella materia, dove il primo è l’unico momento creativo dell’opera.
L’arte, quindi, non è la pittura eseguita, ma l’atto di eseguirla, il gesto stesso che non deve essere necessariamente pittorico, ma anche simbolico, come il tagliare la tela.
Platone ed il Neoplatonismo sono lontani anni luce, la materia da elemento indegno si trova improvvisamente in primo piano, diventa il mezzo tramite il quale l’artista manifesta la propria energia creativa, questo porta il campo dell’arte praticamente all’infinito visto che l’artista può scegliere quello che vuole. Alla fine tutto può diventare arte e nulla effettivamente può esserlo. Si distinguono, quindi, tre tendenze:
- Il gesto: Informale gestuale dove il pennello diventa prolungamento del braccio. Per la prima volta si assiste all’influenza dell’arte d’oltreoceano su quella europea, in particolar modo l’Action Painting;
- Il segno: Informale più meditativo, segno scrittura;
- Attenzione alla materia: Informale materico, materie per valori cromatici, tattili, simbolici. Non siamo, però, nell’idea del Dadaismo e del Ready Made che portava nel mondo dell’arte gli oggetti della vita quotidiana solo per il gusto di provocare, ma la materia in questa arte è alla stregua dell’elemento pittorico. E’ coscientemente usata per i suoi valori tattili, simbolici e cromatici.
Gli artisti che si ricordano di questo filone dell’arte sono:
Wols (Alfred Otto Wolfgang Schulze)
Segni fitti che diventano traduzione immediata di uno stato d’animo precario e fragile (intervista del ’39). L’uomo in crisi si sente microbo, e non è in grado di sfidare la natura. Wols incarna questo esistenzialismo tragico. La sua pittura crea una struttura di segni angosciante. Non sono certamente i segni poetici di Mirò. Non vuole trasmettere certezze e traduce in impulso segnico la sua psiche più profonda senza nessuna mediazione.
It’s All Over The City
Georges Mathieu
Action painting. Un po’ il corrispettivo di Pollock in Europa. La sua esecuzione punta ad una battaglia vera e propria con l’aspetto pittorico. A differenza di Pollock lavora di fronte al pubblico, fa performance. Per dipingere non utilizza il pennello, ma schiaccia il tubetto direttamente sulla tela. Punta tanto sull’idea di velocità di realizzazione e sull’improvvisazione. Sottolinea come è importante l’agire velocemente, l’impulso psichico. Anche lui, come Wols, non fa bozzetti, il significato verrà dato dopo del gesto.
Il gesto e il segno sono la stessa cosa. La tela bianca è un’arena dove l’artista ingaggia una battaglia con la superficie pittorica.
Un’opera del tipo Site Specific.
La Battaglia di Hastings
Hans Hartung
Informale segnico. Legato al segno ed alla linea, dove quest’ultima è un valore esistenziale, un atto inscindibile dal tempo e dallo spazio della vita. L’artista segna per sottolineare che lui esiste e che è vivo. Ogni linea che traccia esprime un sentimento.
Il gesto di Hartung è definito da Argan come “puro impulso interiore”.
Per l’artista la sua opera è vita, sia vissuta che futura, rappresenta il mondo che lo circonda. Egli dice:
Quello che amo è quello che accade sulla tela
T1963 -R6
Jean Fautrier
Informale materico. Con Fautrier l’Informale assume anche un aspetto figurativo. Usa le paste alte, uno strato spesso di pittura. L’aspetto materico deve emergere; è l’aspetto che esprime il contenuto dell’opera.
La sua serie più famosa è quella degli Ôtages, ispirata alle vittime della persecuzione nazista, Fautrier con la materia vuole esprimere il sentimento di una storia appena compiuta, di un Europa devastata che sta cercando di risollevarsi.
Tête d’Ôtage 1944
Jean Dubuffet
Informale Materico. Nel 1949 scrive il testo programmatico l’Art Brut préféré aux arts culturels che darà vita al movimento dell’Art Brut contro un’arte borghese. Guarda ai disegni dei bambini e degli alienati mentali. La sua è un’arte fatta di spontaneità, che risente dei suoi numerosi viaggi nel deserto del Sahara che gli hanno trasmesso l’interesse per il culto della della vita inteso nella sua semplicità. Parla dell’uomo comune, non di un’arte fatta dal genio (non alla Dalì per intenderci).
La sua materia è un impasto di gesso, sabbia e terra combinati con il colore ad olio. La figura dell’artista è messa in discussione, per lui anche le cose brutte nascondono meraviglie inaspettate. Cerca di proporre l’aspetto ludico e come Fautrier punta all’aspetto materico.
Nez Long et Chaise Septembre
Alberto Burri
Ricerca informale materica di carattere astratto.
Burri è un medico, che partecipa al conflitto come medico militare, con formazione artistica particolare. Dopo la deportazione nel campo di prigionia texano di Hareford, lascerà la carriera militare per intraprendere quella di artista. Le sue cuciture sembrano quasi come punti di sutura. Utilizza la materia non come supporto, ma come elemento pittorico vero e proprio. Nel quadro qui sotto, per esempio, il sacco forma delle vere e proprie campiture; un modo diverso da come, ad esempio, Picasso usa la materia in “Natura morta con sedia impagliata”. La materia e la superficie dell’opera diventano un unico.
Recupera una materia logora, carica di storia, informe e la assembla in modo “tragico” riuscendo a trasmettere forti sensazioni. Non è Ready Made. Nell’assemblaggio della materia rimane comunque pittore. Gli oggetti messi sulla tela non sono messi a caso, ma c’è la volontà di creare una composizione.
Sacco
Lucio Fontana
Studia scultura a Brera, suo padre era scultore in Argentina. È molto attento all’aspetto della 3^ e 4^ dimensione (infinito).
Durante la guerra lascia l’Europa e torna in Argentina dove continua la sua ricerca e nel 1946 lancia il primo Manifesto Spazialista.
Così, mentre in Europa si combatte e l’arte si ferma, lui va avanti, tanto che dopo la guerra, quando torna a Milano, si propone con la nuova teoria dello Spazialismo. Vuole anche andare oltre la superficie pittorica, al punto di bucarla per trovare l’accesso verso l’infinito, vuole creare spazialità.
Il suo non è un atto che vuole evocare distruzione, ma piuttosto vuole sottolineare la presenza dell’uomo con la sua ricerca dell’infinito. Egli afferma:
Io buco, passa l’infinito di lì, passa luce, non c’è bisogno di dipingere, […] tutti hanno pensato che io volessi distruggere: ma non è vero, io ho costruito, non distrutto
Concetto Spaziale Rosso – Attese
Gli anni ’40 e ’50 costituiscono una chiave di volta anche per la scena artistica del nuovo continente. In questi anni si forma la prima vera esperienza artistica tutta americana.
Nasce l’Espressionismo Astratto, ovvero un’arte in cui il fattore comune è da un lato la contrapposizione al realismo sociale degli anni ’30 e, dall’altro l’emancipazione dalle influenze artistiche delle avanguardie europee. Una spinta verso la ricerca di una via americana all’arte che non deve far dimenticare però il contributo di pensiero che l’arte cubista, astratta e surrealista europea hanno portato.
Assistiamo allo spostamento della leadership artistica da Parigi a New York, favorito anche dalla migrazione durante gli anni della guerra di molti artisti dal vecchio al nuovo continente.
Un’arte che tiene conto anche delle tradizioni indigene, in particolar modo i nativi americani e la loro cultura, ma anche dei murales messicani come Rivera, Orozco e Siqueiros, che ad esempio, saranno determinanti per l’arte di Pollock.
In un contesto, quello della american way of life, dove viene esaltato il concetto di libertà e di intraprendenza di azione, probabilmente la definizione di Espressionismo Astratto, riferita ad un contenitore di più stili, è un po’ generica.
Quella di Action Painting, riferita ad artisti come Pollock, De Kooning, Kline, coniata nel 1952 da Rosenberg, è sicuramente più appropriata.
L’Action Painting rappresenta un’opposizione individualistica al conformismo della vita quotidiana, opposizione che non assume contorni di protesta sociale, e che in definitiva accetta il sistema apparendo, così, libera da accettare i valori nei confronti dei quali si pone come antagonista.
A questa linea si associa un’altra, che porta l’attenzione sul problema del campo pittorico e cioè sulla determinazione dello spazio attraverso ampie ed uniformi stesure di colore su tele di grandi dimensioni. È la linea del Color Field, un pensiero collegato al Suprematismo russo di Malevič degli anni ’20 del secolo e che vede i maggiori rappresentanti in terra americana in Mark Rothko, Barnett Newman e Ad Reinhardt.
Non solo l’Action Painting, quindi, ma anche Color Field, una pittura di inazione. Non basata sul gesto, ma sulla contemplazione.
Potremmo definirlo il versante teologico dell’Espressionismo Astratto. Attraverso questa propensione si tende ad arrivare ad un azzeramento cromatico della pittura.
Artisti di questi due filoni dell’arte americana sono:
Jackson Pollock
Pollock non arriva alla tela con una composizione nella sua testa, entra dentro la tela e scatena una sorta di danza performante durante la quale compie gesti che sanno di rituale.
Mentre, ad esempio, Kandinskij, pittore astratto, ha progettualità nelle sue opere, Pollock non elabora nessun progetto preventivo, lui improvvisa (anche se grosso modo sa cosa vuole). Il segno è veloce, ma presuppone disciplina.
Egli stesso afferma:
La mia pittura non nasce sul cavalletto. Non tendo praticamente mai la tela prima di dipingerla. Preferisco fissarla non tesa sul muro o per terra…Sul pavimento mi sento più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del quadro, perché, in questo modo, posso camminarci intorno, lavorare sui quattro lati, ed essere letteralmente nel quadro. E’ un metodo simile a quello degli Indiani dell’Ovest che lavorano sulla sabbia
Ogni gesto è unico ed irripetibile, in questo c’è assonanza con la musica jazz che fa parte della sua cultura.
Egli mette la tela ai suoi piedi e letteralmente ci entra dentro (particolare affascinante, e che per le sue opere si cambia le scarpe) e scatena il suo dripping (la sua tecnica pittorica).
Per Pollock, la tela è un’arena nella quale agire, non più supporto di una pittura, ma luogo di un evento, “impronta di un evento” (Rosenberg). L’immagine sul quadro è l’incontro della materia pittorica e della tela stessa, e in quanto tale non può sparire dalla memoria. Il dipinto è testimonianza di un’esistenza. Dalle opere di Pollock quello che ne viene fuori è una sorta di suicidio della pittura.
Lucifer
Willem De Koonig
Il suo campo d’azione è rivolto a due ricerche privilegiate: i paesaggi, ridotti fino all’astrazione, e le donne turbate, brutali e arcaiche.
Considera l’opera sempre non terminata, non finita al punto che continuava a dipingerla in qualsiasi momento. Ci tornava sopra anche durante le mostre, facendo passare così l’idea che l’opera continuamente potesse rigenerarsi, “continua a torturare la figura”. Rientra nel termine di espressionismo astratto. Non è l’astrattismo lirico di Kandinskij, ma violento nella sua espressione, probabilmente anche a causa delle sue origini nordiche (Olandese).
Ascheville
Franz Kline
Nel suo momento più importante (anni ’50) utilizza il macro-segno in maniera tale che il gesto diventa un segno sulla tela. Una sorta di ombra nera.
La sua è una pittura diretta, veloce, vigorosa. Il suo segno è stato letto come gestualità in negativo una negazione dello spazio bianco come un senso di cancellazione.
È stata definita proiezione dell’inconscio. Non c’è figurazione, ma solo un gesto irrazionale. In realtà, l’opera alla fine viene ritoccata con un pennellino molto piccolo, e questo non lascia dubbi sul fatto che anche se la rappresentazione sembra il frutto di un procedimento istintivo, in realtà il lavoro è il frutto di uno studio attento ai valori cromatici e compositivi.
La sua pittura è un modo per esprimere dissenso attraverso la gestualità. Non c’è il senso danzante di Pollock.
Intersection
Mark Tobey
La sua proposta è quella di una ricerca che si basa sul micro-segno. E’ appassionato di filosofia orientale, in Cina impara l’arte della calligrafia, ed è proprio quest’impulso calligrafico la sua cifra. La sua arte, infatti, è stata definita come una scrittura. Si esprime attraverso l’uso di segni molto piccoli che sommati danno ritmo e frequenza completamente diverse da Kline. Il micro segno è inteso come singolo individuo all’interno della massa.
White Space
Mark Rothko
Background di tipo iconico ebreo. In lui c’è il recupero del valore del colore in rapporto al valore del gesto, che ne farà uno dei massimi esponenti del Color Field. Parte dall’idea della macchia di colore, ama Matisse.
Le sue opere descrivono la pace spirituale non la tragedia o il dramma. Sceglie superfici molto grandi con l’idea di creare opere che con la loro presenza segnano l’ambiente. Non c’è più il gesto.
Lavora sul concetto di spazio individuato dal colore che diventa superficie. Rispetto a Pollock si passa dal puro dinamismo alla meditazione. Ritmo lento dato dalla superficie di colore che vibra, vuole esprimere estasi, destino (le emozioni umane sono fondamentali).
Noi siamo per la forma ampia, perché essa possiede l’impatto dell’inequivocabile. Noi desideriamo riaffermare la superficie del dipinto. Noi siamo per le forme piatte poiché esse distruggono l’illusione e rivelano la verità
Invitava lo spettatore a vedere i quadri ad una distanza di 10/15 cm in modo da perdersi nel colore.
Untitled 1964
Barnett Newman
Come Rothko anche il suo background culturale è di tipo iconico essendo ebreo. Esprime un profondo senso di orrore verso la guerra. Dice che dopo la guerra
…non possiamo più dipingere uomini che suonano il violoncello o mazzi di fiori: il soggetto è l’elemento primo della pittura, la storia della mia generazione comincia con il problema di cosa dipingere
I suoi quadri, sempre grandi, hanno un aspetto molto più meditativo di quelli di Pollock. Il colore vi si dispone in modo omogeneo, uniforme, rotto solo da sottili fenditure concepite come cerniere tra cielo e terra o come i primi atti di separazione attraverso cui Dio, l’Uno per eccellenza, genera la molteplicità e quindi il mondo. La natura è la grande assente, l’unico interesse è lo spazio rappresentato con il colore.
Cathedra Magna
Ad Reinhardt
A Reinhardt ci arriviamo con Magritte. Tutti conosciamo il celebre quadro di Magritte La Trahison des images (Ceci n’est pas une pipe), in quell’opera praticamente l’artista voleva dire che ciò che era raffigurato non era una pipa, ma una figura che raffigura una pipa. Si sottolinea quindi la non coincidenza dell’arte con le cose, l’arte separata della vita. Se Magritte dimostra che l’arte non è nella pipa, Reinhardt va ancora più avanti. Se l’arte non è la pipa, allora togliamola, togliamo tutto, fino a fermarci al quadro, alla cornice, perché se togliamo anche il quadro, non parliamo più nemmeno di arte.
Una sorta di processo sottrattivo che alla fine porta all’eliminazione di qualsiasi emotività, una pittura fine a se stessa dove l’arte perde tutte le sue spettacolarizzazioni e qualità estetiche. Egli dice:
l’unica cosa da dire sull’arte è che è una cosa sola. L’arte è “arte in quanto arte” e ogni altra cosa è qualunque altra cosa
E allora lasciamo un quadro nero. Per la verità se guardiamo bene l’opera qui sotto noteremo che al centro ci sono cinque quadrati, a formare una croce, di una sfumatura di blu molto scura. Togliendo tutto quello che arte non è alla fine rimane una tela nera. Perché allora non il bianco che è il colore che racchiude tutti gli altri?
Kandinskij avrebbe risposto: “Il bianco è il nulla prima della nascita, il nero è il nulla dopo la morte”
Abstract Painting nr. 5
Certamente quest’articolo non vuole e non può essere, in questa sede, esaustivo dell’arte che viene a determinarsi in questi decenni.
A chi vuole approfondire, posso solo suggerire alcuni nomi di artisti che hanno dato un grandissimo contributo sia all’Informale europeo che all’Espressionismo Astratto.
Per l’informale si possono citare artisti del calibro di :
Emilio Vedova | Pierre Soulages | Cy Twombly | Antoni Tapies |
per l’Espressionismo Astratto invece:
David Smith | Sam Francis | Morris Louis Bernestein | Clifford Still | Robert Motherwell |
Grande contenitore è stato, inoltre, il Gruppo CO.BR.A., di matrice nord europea (la sigla è un acronimo che racchiude le iniziali di Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam) formato da Alechinsky, Appel, Corneille e Jorn, e caratterizzato da una evidente radice derivante dall’Espressionismo Nordico.
Alla prossima.
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3 commenti su “L’Arte nel secondo dopoguerra. Europa vs America, ovvero Informale contro Action Painting e Color Fields”
E’ presto: Devo pensare. Ad ogni modo è un lavoro, per me, molto istruttivo
Salve, articolo molto interessante, è possibile reperirlo formato pdf fornito di foto?
vi ringrazio per la cortesia
Alice Colacione
Buongiorno Alice,
grazie per aver letto l’articolo.
Sotto alla prima immagine, prima del testo, può trovare direttamente il link alla creazione di un pdf.
Cordiali saluti