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Il Gioco di Giulia Rosania

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giuliaNella sua inimitabile Storia dell’Arte Ernst Gombrich dice che l’arte non esiste, ma esistono gli artisti, uomini che segnano e determinano il gusto di un’epoca.

Gusti che in qualche modo si inseriscono perfettamente nei cicli di vichiana memoria dei quali oggi vorrei parlarvi presentandovi un’artista emergente che ha dedicato la sua vita all’insegnamento ed alla famiglia: Giulia Rosania.

Di origini campane, ha studiato e si è formata prima a Roma, dove si è laureata in Sociologia, e poi a Padova dove ha ottenuto la laurea in lettere.

Per comprendere meglio come lei si inserisce in questo percorso cercherò di esaminare insieme a voi una sua opera in particolare, ancora senza nome, ma che vorrei indicare come “Il gioco dei Nove“, dove la N maiuscola di Nove non  è un caso dato che sono rappresentati nove dei più grandi artisti di tutti i tempi.

(La Gioconda di Leonardo - Rosalba Peale di Rembrandt - Irma Brummer di Manet - The Birds di Braque - Giotto di Rothko - Donna con cravatta di Modigliani - Donna di Picasso - Taglio di Fontana - Campbell's Soup di Warhol)

Il-gioco-dei-Nove

Nell’arte la teoria dei corsi e ricorsi è presente a pieno titolo.

Così come le statue greche del periodo classico, ad iniziare da Policleto, passando per Cefisodoto sono state di esempio per Michelangelo e Raffaello nei primi decenni del ‘500, allo stesso modo la statuaria di Prassitele non ha analogie, con le sue forme serpentinate, con l’arte manierista?

La “licenza” di vasariana memoria, rivedere il classico con piccole modifiche che non compromettono la regola, evidentemente ha radici molto antiche.

Come noto però tra i classici e i manieristi si sono collocati i contestatori, artisti che con l’ausilio di un’arte straniera (in quel caso fu quella nordica), hanno protestato il loro anticlassicismo che a Firenze ha visto la punta più estrema con il Rosso FIorentino e il Pontormo degli inizi.

Giulia, nella casella dei contestatori, con questa sua opera si incastra perfettamente. Solo che lei al posto di quella straniera, usa un’arte che riporta lo spettatore ai sentimenti ingenui e primitivi della propria infanzia.

Almeno questa è la prima impressione che si ha davanti alla sua opera, ma basta concentrarsi due minuti in più per fare un salto emozionale e capire che la contestazione messa in atto produce gli stessi effetti dell’arte contestata.

In quest’articolo analizzerò solo tre dei nove riquadri dipinti, ed esattamente la più “antica”, la Gioconda di Leonardo, Giotto di Rothko e il Taglio di Lucio Fontana.

MonnalisaGuardando la Monnalisa di Giulia il primo ricordo, il primo stimolo è quello infantile che riporta la mente alla disneyana Pocahontas.

Una figura femminile dalla pelle abbronzata immersa in un paesaggio appena accennato rigoglioso e vivo.

Ma, analizzando l’opera con maggiore attenzione ci rendiamo conto che man mano che ci inoltriamo in questo paesaggio le forme iniziano a palesarsi, non tanto nella definizione restituita dal pennello sulla tela, ma prendono corpo nella nostra mente.

Immaginiamo allora un querceto sulla sinistra, alberi ad alto fusto sulla destra che prendono nutrimento e vita dalle acque blu del fiume che scorre alle spalle della gentildonna.

Ma questo vedo/non vedo che prende corpo solo facendo ricorso ai nostri ricordi e questa sensazione che forse ci stiamo perdendo qualcosa di importante, questa spinta all’indagine dei segni sulla tela non è la stessa che percepiamo quando guardiamo il capolavoro leonardesco?

giottoTra gli artisti che negli anni ’50 del secolo scorso hanno dominato il mondo dell’arte, sicuramente Rothko è uno dei più importanti.

Nel filone dell’Espressionismo Astratto che vedeva definitivamente passare lo scettro dell’arte alle produzioni americane, la sua pittura è quella che più si avvicina ai moti dell’animo mossi da un sentimento che tende al Divino.

I suoi “Color Field”, riquadri campiti con sfumature sempre più evanescenti verso i bordi che sfociano in colori di tonalità via via degradanti fino ad incontrare nuove campiture man mano più compatte per ripetersi ancora, provocano nello spettatore assorto nella loro contemplazione stimolazioni emotive ed inconsce.

Giulia nel dissacrare l’arte di Rothko sembra usare la tecnica michelangiolesca del finito/non finito.

Le sue campiture non trapassano degradando la tonatità da un campo all’altro, ma da un finito ad un non finito.

In certi punti si ha quasi l’impressione di vedere ancora la tela.

Fermandoci a contemplare con attenzione, riproviamo la stessa vibrazione e luminosità della materia cromatica rothkiana. Lo spettatore si perde nella profondità generata da vibrazioni sempre crescenti, viene trasportato fino in fondo al momento iniziale incognito in una sorta di teofania della genesi.

Credo che l’affermazione di Rothko

Mi interessa esprimere le emozioni umane fondamentali, tragedia, estasi, divino

si riferisse proprio a queste stimolazioni sensoriali interiori fortissime e allo stesso tempo eteree.

fontanaInfine, molto interessante, e se vogliamo anche molto ironica, è la contestazione di Lucio Fontana.

Giulia non sceglie di dissacrare i suoi tubi fluorescenti della IX triennale milanese, ma l’opera che forse più di tutte rimane legata al nome di Fontana, ossia i suoi Tagli.

Milan Kundera nella “Insostenibile leggerezza dell’essere” affermava:

Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro

Bene, Giulia non solo applica alla lettera questo concetto di continua esplorazione dell’uomo verso l’ignoto, ma nonostante la contestazione, la nostra mente non può fare a meno di perdersi in questo taglio in un continuo trapasso tra lo spazio intimo, che ci appartiene e l’apertura verso un infinito depositario delle nostre paure e delle nostre preoccupazioni inconsce.

spillaEd è probabiblemte  per questo, per evitare che esse invadano il nostro spazio tranquillo e familiare che Giulia ha messo una spilla da balia a guardia del taglio sull’infinito, perchè non si allarghi sempre di più.

Sicuramente un’arte quella di Giulia che fa discutere, in bilico tra imitazione e riproposizione geniale del passato. Un’arte fonte di spunti critici che vanno dall’analisi del figurativo all’idea stessa di progresso artistico, concetto quest’ultimo da sviluppare con molta attenzione.

Un’arte che passa dalla mimesi della natura all’esternazione di sentimenti interiori che con il figurativo non hanno niente in comune.

Un’arte che, spero, avremo ancora occasione di vedere.

 

 

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Francesco R. Giornetta laureato in Storia e Tutela dei Beni Artistici e Musicali presso l'Università di Padova.

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