Interessante articolo di Giovanni Garcia-Fenech su Artstor.
Tutti probabilmente sapete la genesi del Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina.
L’opera fu commissionata nel 1534 da Clemente VII poco prima di morire. A realizzarlo fu Michelangelo tra il 1536 e 1541 e ancora prima di essere terminato faceva scandalo per l’imponente mole di nudità mostrate.
Quello che segue è un passo della lettera di Pietro l’Aretino indirizzata allo stesso Michelangelo nella quale evidenzia come nemmeno i Gentili (i pagani) avrebbero avuto il coraggio di mostrare tante nudità in un colpo solo.
Ecco, i Gentili ne lo iscolpire, non dico Diana vestita, ma nel formare Venere ignuda, le fanno ricoprire con la mano le parti che non si scoprono; et chi pur è christiano, per più stimare l’arte che la fede, tiene per reale ispettacolo tanto il decoro non osservato nei martiri e ne le vergini, quanto il gesto del rapito per i membri genitali, che anco serrarebbe gli occhi il postribolo, per non mirarlo. In un bagno delitioso, non in un choro supremo si conveniva il far vostro! (Pietro Aretino a Michelangelo Buonarroti, 31 ottobre 1545 – Tratto da Michelangelo, Carteggio, IV, 1979, pp. 215-217).
Per la verità l’Aretino aveva il dente avvelenato con Michelangelo, colpevole di non aver accettato i suoi consigli sulla realizzazione dell’affresco.
Va considerato, inoltre, che di lì a poco sarebbe iniziato il Concilio di Trento (1545-1563), dal quale partì tutta quelle serie di indicazioni su come un’opera d’arte sacra (e non) doveva essere realizzata. Dettami sui quali la Chiesa di Roma con il nuovo Papa, successore di Clemente VII, Pio IV faceva affidamento.
Infatti, l’anno dopo la morte del Divino Michelangelo (1564), iniziarono i lavori di copertura delle “vergogne“. I lavori furono commissionati a Daniele da Volterra, appartenente alla cerchia di Michelangelo, che da quel momento a causa delle “braghe” che fece indossare ai personaggi del Giudizio, fu soprannominato e conosciuto come il Braghettone.
Fortunatamente gli amanti dell’arte sono sempre esistiti nei secoli e uno di questi, il Cardinale Alessandro Farnese, fece riprodurre nel 1549 l’affresco, tempera su tavola da Marcello Venusti, pittore di formazione lombarda e grande copista del Buonarroti.
La tempera del Venusti, custodita al Museo di capodimonte a Napoli, è oggi l’unica opera che ci permette di confrontare i personaggi “vestiti” rinati dal restauro terminato negli anni ’90 del secolo scorso, con quelli del capolavoro originario.
L’articolo originale lo trovate su Artstor a questo indirizzo
Michelangelo’s Last Judgment—uncensored
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