Un po’ di tempo fa riflettevo sull’importanza dell’immagine ai nostri tempi (il termine corretto forse sarebbe fotografia, ma lo userò con parsimonia nella consapevolezza che questo aprirebbe pagine e pagine di discussioni che necessitano di un’argomentazione a parte).
Ormai tutto viene fagocitato dai nostri smartphone: noi stessi, i nostri cari, i nostri animali, l’alba, il tramonto e chi più ne ha più ne metta.
Siamo sempre pronti a “social-izzare” qualsiasi cosa con il desiderio, non tanto nascosto, di ricevere quanti più like possibili.
E in questo gioco (che a ben pensare ha poco della spensieratezza del gioco) ci impegniamo a mentire anche a noi stessi.
Le nostre foto, specialmente quelle che ci vedono protagonisti, non sono altro che il risultato di un mix di finzioni ed edulcorazioni. Immagini che ritraggono persone in pose che non assumerebbero mai senza un obiettivo davanti a loro, senza contare le centinaia di applicazioni software che ci rendono tutti dei provetti maestri di editing post produzione.
Immagini che ritraggono persone che pensiamo essere noi, ma che sono qualcun altro.
Come argomenta Roland Barthes (La camera chiara. Nota sulla fotografia – Piccola Biblioteca Einaudi – 1979), la fotografia trasforma il soggetto in oggetto. E sempre più abbiamo la necessità che esso sia apprezzato (like) da più persone possibile.
Siamo talmente attratti dalla bella immagine che rinunciamo anche alle nostre valutazioni più accurate; ad esempio, nell’acquisto di un qualcosa on line: “si questo è sicuramente più funzionale, ma guarda quest’altro quanto è bello.”
Ma i like che riceviamo sono veramente una risposta alla bellezza?
Nella filosofia dell’Estetica dire semplicemente “È bello! È grazioso!”, in pratica equivale a mostrare la nostra incompetenza nella pratica stessa del giudizio estetico.
Un conoscitore, un intenditore o semplicemente un appassionato dopo aver fatto queste affermazioni aggiungerebbe altre argomentazioni descrittive per esprimere il suo pensiero: “guarda la coerenza dei colori; guarda l’impianto prospettico; è vero, manca il figurativo, ma il periodo in cui ha realizzato quest’opera è caratterizzato da….”
Che la bellezza abbia lasciato il mondo dell’Estetica (e dell’Arte) è ormai cosa nota da secoli, ma quello che sta succedendo in questi anni “tecnologici” e “social” è che essa si è ridotta ad essere merce di scambio barattata per un like.
Sia l’autore che il fruitore seguono dei percorsi di lusinghe e di appagamento dove la considerazione della bellezza scade sempre più di livello, e il più delle volte il pollice all’insù è solo il frutto di un gesto automatico. Questo non sarebbe un problema in assoluto, ma lo diventa quando il numero dei pollici diventa misura della bellezza stessa.
Davvero pensiamo che il like sia il risultato di un reale interesse per quello che abbiamo postato?
Abbiamo svuotato l’utilità della bellezza (qualcuno diceva che avrebbe salvato il mondo!) per un like in più.
N.B.: lo so che il discorso ha mille risvolti, ma l’impianto principale del discorso, a mio modesto avviso, consiste proprio nella ricerca dell’approvazione dell’immagine e non della sua utilità.
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