Per quest’opera mi sono ispirato ai principi Zen della meditazione. La posizione delle mani richiama il gesto dei monaci buddisti nella fase meditativa.
Secondo questa tradizione il gesto del Mudra Dhyana favorisce la concentrazione profonda.
Lo sfondo, stucco dato con la spatola, rappresenta la materialità del mondo con il suo grigiore che comunque tende a schiarirsi nella parte superiore, e le mani sono immerse in esso.
La meditazione però, serve a distaccarsi dal mondo, ed è così che dal centro delle mani si innalza verso l’alto una luce bianca che successivamente si apre, come nel prisma dell’arcobaleno, nella serie dei sette colori che la formano.
A lungo sono stato indeciso su che forma dare ai colori.
Un andamento estemporaneo, avvolgente che occupava tutto lo spazio dell’opera (come si vede nella bozza del progetto fatto ad acquerello) o, come poi è avvenuto, una direttrice ben precisa, tendenzialmente geometrica.
Una sorta di battaglia tra apollineo e dionisiaco.
La meditazione dovrebbe portare ad una liberazione dalle sovrastrutture che tutti noi abbiamo a causa del puro e semplice vivere in questo mondo, ma non è semplice.
Avrei voluto optare per la soluzione liberatoria, quella dionisiaca, ma qualcosa mi tratteneva nella rigidità del conformismo quotidiano, questa sorta di carcere dalle pareti trasparenti in cui viviamo.
Allora ho pensato ad un compromesso: i sette colori partono dal bianco verso l’alto con le stesse misure, ma il colore è dato in modo materico direttamente dal tubetto del colore, come lo stato della nostra mente prima di essere plasmata dagli eventi della vita.
Nel progetto iniziale, inoltre, lo sfondo partiva da una base nera e non grigia, ma mi sembrava troppo pessimistica come visione.
Al centro dell’acquerello avevo posto l’ideogramma giapponese 坐禅 (Zazen), ovvero meditazione, ma ho preferito farne a meno perché la meditazione è patrimonio di tutta l’umanità.

